Le carezze con vergogna (2016)

Il copione e il  corpo

In Analisi Transazionale, la carezza è un’unità di riconoscimento, che procura stimolazioni (fisiche e mentali)[1] ad un individuo.

Ognuno di noi ha bisogno di stimoli: da piccoli abbiamo bisogno di essere toccati, del contatto fisico di chi ci accudisce, per sopravvivere e crescere; da adulti impariamo anche a sostituire questo bisogno con altre forme di riconoscimento. Per indicare questa nostra esigenza di riconoscimento da parte degli altri, Berne utilizza il termine bisogno di riconoscimento.

Il mancato riconoscimento è un aspetto centrale della vergogna.  Tale riconoscimento, in linea con i contributi dell’analisi transazionale, si fonda sulla base della propria posizione esistenziale (sentirsi OK, sentirsi NON OK).

L’emozione della vergogna ci fa sentire NON OK. Sentirsi NON OK fa provare vergogna.

Esistono diversi tipi di carezze, le carezze verbali o non verbali (legate alla comunicazione verbale o alla gestualità), condizionate o incondizionate (legate a quello che la persona fa o legate all’essere, a quello che la persona è), esterne o interne (quelle che riceviamo da altre persone o quelle che ci diamo da soli).

Ciascun tipo di carezza è legato alla decisione della propria posizione esistenziale. Le carezze possono essere positive e trasmettere il messaggio TU SEI OK, negative e trasmettere il messaggio TU NON SEI OK.

Le prime sono vissute come positive da chi le riceve, favoriscono l’autostima; le seconde sono vissute in modo spiacevole da chi le riceve e trasmettono il messaggio TU NON SEI OK.

Claude Steiner (1971)[2] suggerisce che, da bambini, siamo tutti indottrinati  dai nostri genitori, con cinque regole restrittive sulle carezze. L’insieme di queste regole è alla base di ciò che Steiner chiama l’economia delle carezze.

Non dare carezze quando ne hai da dare

Non chiedere carezze quando ne hai bisogno

Non accettare carezze se le vuoi

Non rifiutare carezze quando non le vuoi

Non dare carezze a te stesso

La vergogna, l’imbarazzo, potrebbero sostenere tale stato di deprivazione di carezze. Questa deprivazione è legata alla posizione esistenziale NON OK.

Il timore di chiedere carezze può essere legato alla paura del rifiuto, del non riconoscimento, del non esaudimento del bisogno sottostante. Nel non riconoscimento, non accoglimento, nel diniego della es-pressività, intesa come pulsione, desiderio, bisogno, ho rivenuto, la radice della vergogna.

Tale limitazione è in accordo con le decisioni infantili, con il copione di vita.

Per riprenderci la nostra consapevolezza, spontaneità e intimità, dice Steiner, dobbiamo rifiutare il restrittivo addestramento di base che i nostri genitori ci hanno imposto riguardo allo scambio di carezze e divenire, invece, consapevoli che le carezze sono disponibili in quantità illimitata. Imparare a scambiarsi carezze liberamente, a dare e a chiedere carezze, rischiando di provare vergogna, tradendo, talvolta, il piano di vita, il nostro copione, rischiando di perdere la primitiva appartenenza incondizionata.

La prima elaborazione della teoria del copione è stata fatta da Berne e dai suoi colleghi, in particolare da Claude Steiner, alla metà degli ani Sessanta.

In “Principi di terapia di gruppo” (1966, tr.it. 1986), Berne definisce il copione un piano di vita inconscio.

Successivamente, in “Ciao!..E poi?”(1972, tr.it. 1979) “Un piano di vita che si basa su di una decisione presa durante l’infanzia, rinforzata dai genitori, giustificata dagli avvenimenti successivi, e che culmina in una scelta decisiva” (pag 272).  Il copione è decisionale.  Tali decisioni, tentativo di protezione contro la catastrofe, vengono prese, come ci fa notare lo stesso Berne, col corpo, oltrechè con la mente.

Alla base del copione ci sono i messaggi di copione. Questi partono dai tre Stati dell’Io[3] di nostra madre e nostro padre, e cioè dal Genitore, dall’Adulto e dal Bambino.

I messaggi, che hanno origine dagli stati dell’Io Genitore della madre e del padre e che sono immagazzinati nel nostro Genitore, sono chiamati contro-ingiunzioni. I messaggi inviati dallo stato dell’Io Bambino della madre e del padre possono essere di due tipi: ingiunzioni o permessi. Li consideriamo immagazzinati nel contenuto del nostro Bambino.

Le differenze principali tra le contro-ingiunzioni e le ingiunzioni-permessi sono che le seconde sono pre-verbali e sono date nella prima infanzia, le contro ingiunzioni sono verbali e sono date più tardi.

Il corpo è il mezzo di trasmissione delle ingiunzioni e dei permessi, attraverso il corpo si prendono le prime decisioni. Le ingiunzioni si esplicano con il “non”..”non è ok”..i permessi (ciascuna ingiunzione ha il suo corrispondente permesso) con “è ok”.. Le ingiunzioni sono dodici.

Ciascuna di queste, in termini analitico transazionale, potrebbe essere vista come un aspetto della vergogna di fondo, il “non”.

Il “non”, trasmesso attraverso un riconoscimento non speculare, non accogliente, senza contatto, del bambino, potrebbe sostenere il ritiro che caratterizza l’emozione della vergogna.

Il Bambino, chiedendo carezze diverse, ribellandosi al “Non”, tradirebbe il Bambino del genitore. L’emozione che sentirebbero entrambi sarebbe viscerale. Il corpo è il mezzo di trasmissione delle ingiunzioni, nel corpo si sentirebbe il rifiuto, la vergogna per tale tradimento. Il tentativo di coprire la nudità del corpo risentirebbe di tale rifiuto, della trasmissione, da parte dei caregivers, di tali messaggi pre-verbali, delle ingiunzioni.

 La difficoltà di gestione di questa emozione risentirebbe, tuttavia, anche dell’immaturità dello stato dell’Io Bambino, nei mezzi a disposizione.

Nel loro lavoro di terapeuti, Bob e Mary Gulding (1976) hanno constatato che come base delle prime decisioni negative delle persone emergevano sempre dodici temi, elaborando così l’elenco delle seguenti dodici ingiunzioni.  

Non essere (non esistere); Non essere te stesso; Non essere un bambino; Non crescere; Non riuscire; Non (Non fare niente); Non essere importante; Non far parte; Non entrare in intimità; Non star bene (Non essere sano di mente); Non pensare; Non sentire.

Il “Non” trasmette, in ciascuna ingiunzione, una  proibizione, il comando di non fare una cosa, il non riconoscimento, non accoglimento del bisogno/desiderio altro da sé, il diniego della es-pressività.  Il genitore soddisfa il bisogno del suo stato dell’Io Bambino, non differenziandolo da quello del bambino con cui interagisce, attraverso l’ingiunzione. Il diniego del genitore diventa il diniego del bambino, che trova il modo per adattarvisi creativamente.

Emerge qui l’aspetto transgenerazionale e creativo della vergogna di fondo, evidenziato la Lee (1994).

“Per esempio, una madre che nell’infanzia aveva ricevuto il copione Non esistere, può ritrasmettere Non esistere al figlio. Nel suo Piccolo Professore questa madre può credere che questo le faccia avere una magica liberazione dalla propria ingiunzione.. Qui l’ingiunzione è una sorta di patata bollente passata da una generazione all’altra” (Stuart, 1987, pag 186).

Il genitore, piuttosto che vivere l’ emozione della vergogna, esistendo, vivendo, aspetta, sulla base della decisione di copione presa, la magica liberazione da questa.

Tornando al discorso sulle carezze, il bambino potrebbe decidere di Non esistere, piuttosto che non sentirsi riconosciuto, di Non far parte del mondo, piuttosto che non appartenere al sistema genitoriale, piuttosto che differenziarsi da questo, piuttosto che rivivere l’emozione di non-onnipotenza.

Nella letteratura dell’analisi transazionale, quanto più aumenta l’intensità delle carezze, tanto più aumenta il rischio psicologico.

Le carezze intime, con vergogna, sono quelle più rischiose, data la loro imprevedibilità; le carezze non intime, senza vivere la vergogna, possono essere un modo per strutturare il tempo.

“Dopo la fame di stimolo e la fame di riconoscimento, viene la fame di struttura. L’eterno problema degli adolescenti  è: “E dopo,  che cosa le (gli) dici?” (Berne, 1964, tr.it. 1992, pag 17).

Eric Berne ha elencato queste sei possibilità di strutturazione del tempo: isolamento, rituali, passatempi, attività, giochi, intimità.

I giochi, in analisi transazionale, sono il modo più sicuro e prevedibile per ottenere carezze, per sentirsi riconosciuti.

 

E’ TUTTA COLPA TUA. Vergogna e senso di superiorità

 

“Il senso di superiorità ha una funzione persino più elaborata, rispetto agli aspetti difensivi della vergogna. Il senso di superiorità è una fantasia auto-generata (a volte manifestata in transazioni esplicite) di difesa contro il dolore della perdita di rapporto, che fornisce al contempo uno pseudo-trionfo, contro l’umiliazione, e un aumento dell’autostima. Mentre la vergogna e le fantasie auto-critiche lasciano che la persona si senta svalutata e anelante a una riparazione della relazione, le fantasie di superiorità sono un disperato tentativo di sfuggire all’umiliazione e di liberarsi dalla vergogna giustificando se stessi…La persona fantastica di essere di valore, spesso trovando difetti negli altri, e perde consapevolezza del suo bisogno degli altri. Il sé è vissuto come superiore” (Erskine, 1995,  tr.it. L. Peroni).

Erskine  definisce, nell’articolo citato, il senso di superiorità una doppia difesa, un modo di liberarsi della vergogna di fondo, di sfuggire alla paura della perdita di rapporto, che fa sentire l’altro umiliato, rifiutato. Ci si difende proiettando  sull’altro l’emozione negata.

L’insidiosità di tali mosse, il trucco che c’è dietro, è un aspetto dei giochi, così come trattati in Analisi Transazionale.

Berne (1964) definisce un gioco come “un insieme ricorrente di transazioni, spesso monotone, superficialmente plausibili, con una motivazione nascosta; o, più semplicemente, come una serie di mosse insidiose, truccate” (tr.it. 1992, pag 55).

“Il vantaggio psicologico interno è dato dall’effetto diretto del gioco sull’economia psichica (libido)..il vantaggio psicologico esterno deriva dal fatto che il gioco consente di evitare una situazione temuta” (ibidem, pag 65).

A questo proposito, riporto il gioco coniugale è tutta colpa tua, in cui, a mio parere, è evidente la doppia difesa di cui parla Erskine, a proposito della vergogna.

“Quasi tutti i giochi possono fornire un’impalcatura alla vita coniugale e familiare; ma alcuni, come il  tutta colpa tua, vi fioriscono meglio (ibidem, pag 103)…..In breve: una donna sposa un tipo di dominatore, che le vieti certe attività e le impedisca di cacciarsi in situazioni che la spaventano. Se si trattasse di una semplice operazione, lei gli si mostrerebbe riconoscente. Ma nel TCT (tornaconto) si assiste alla reazione opposta: la donna approfitta per lamentarsi dei divieti, mettendo a disagio il coniuge e assicurandosi vantaggi di ogni sorta” (pag 118) .

Obbedendo al marito, la moglie evita situazioni di cui si vergogna, di cui ha paura. Il tornaconto può essere la rassicurazione.

Ecco l’aspetto de-responsabilizzante e inconsapevole, in cui l’emozione della vergogna sosterrebbe l’evitamento tra i partner, in cui non ci si darebbe il Permesso di vivere la vergogna, in cui si confluirebbe con l’introietto Non.

Gli Schiff (1975) suggeriscono che i giochi derivano da rapporti simbiotici irrisolti, nei quali ciascun giocatore svaluta sia se stesso che l’altro. Per giustificare la simbiosi, i giocatori mantengono convinzioni quali io non posso fare niente (Bambino), o Io vivo solo per te, caro (Genitore). Lo scopo del gioco, il tornaconto, è la rassicurazione. In una coppia, per esempio, in linea col gioco riportato, non è che io mi vergogno a ballare è lui che non me lo permette, è tutta colpa sua!

La simbiosi, in questo caso, potrebbe essere con la figura genitoriale da cui è partita l’ingiunzione “Non”.

“Non ballare” può essere il riflesso della ingiunzione, della decisione di copione Non essere, di una negazione della es-pressività, della propria esistenza.

Il senso di inferiorità, la svalutazione, viene qui risolta con un’altrettanta svalutazione, la svalutazione dell’altro.  La funzione di questa operazione è dare un temporaneo sollievo dalla critica interna da parte dell’introiezione, e, attraverso la proiezione della critica, continuare a negare il bisogno originario di contatto-nella-relazione. Un modo per avere carezze, per sentirsi riconosciuti.

Tuttavia, tali carezze possono non soddisfare la fame. Al termine del gioco, nessuno dei partner si sente riconosciuto nel suo reale bisogno. Le emozioni che si provano non fanno niente per risolvere la situazione in cui sono i partecipanti al gioco stesso, ciascuno addossa all’altro la responsabilità del suo esito: E’ tutta colpa tua!

“L’aspetto essenziale del gioco umano non è il carattere spurio delle emozioni, ma il fatto che le emozioni obbediscono a determinate regole” (Berne, ibidem, pag 19). Le regole a cui obbediscono le emozioni sono il compromesso attivato per gestire la fame. Piuttosto che prendere consapevolezza del proprio desiderio, della propria paura, di cui ci si vergogna, di cui si ha paura, il partner dice è tutta colpa tua.

Nel gioco coniugale riportato ho rinvenuto il nesso, sottolineato da Erskine, tra vergogna e senso di superiorità.

I giochi possono essere usati per confermare le nostre posizioni di vita.

Nel gioco E’ tutta colpa tua la scelta della posizione di vita NON OK, che sostiene l’emozione della vergogna, può riferirsi alla es-pressione del bisogno, del desiderio originario che, in ultima analisi, è quello di sentirsi riconosciuti. La vergogna di ballare davanti agli altri, per paura del giudizio, può risalire al vissuto dell’ originaria svalutazione “non vai bene così come sei”,  alla pre-verbale ingiunzione, ad una decisione presa con il corpo. Tale decisione può risolversi  nel non vado bene io-non vai bene tu, nella posizione di vita io non ok-tu non ok.

Quando una persona utilizza i giochi per riproporre una simbiosi infantile, giustifica e mantiene il problema che viene svalutato. ”Perciò i giochi sono effettuati per giustificare quello che i giocatori già sentono e credono (le emozioni parassite[4] e le posizioni di vita), nonché per addossare la responsabilità a qualcun altro o a qualche altra cosa” (Steuart, pag 314).

Considerando la formula G[5], il Gancio di apertura può essere la rinuncia della signora a ballare. Le transazioni possono terminare con il tornaconto non potrò mai fare quello che voglio, essere quella che sono: è  colpa sua se devo rinunciare.

Questa semplice e prevedibile logica potrebbe essere un modo per prevenire eventuali attacchi di vergogna. E, in linea col discorso sulla complementarietà nella relazione di coppia,  approfondita da R. G Lee (1994, 1996, 2004), a proposito delle contro-strategie utilizzate dai partner, del “Linguaggio segreto dell’intimità” (2013), queste transazioni possono risolversi in accuse e rimproveri reciproci, con l’intento di ferire o sopraffare l’altro e allontanando, d’altro canto, dalla possibilità di esprimere la vicinanza desiderata, di soddisfare il proprio desiderio di riconoscimento. Transazioni che presuppongono una svalutazione, una valutazione che risente delle influenze copionali, che si allontana dal qui ed ora, una valutazione che rende passivi.

Gli Shiff  sostengono che la passività che caratterizza la simbiosi, che caratterizza la svalutazione, non è funzionale alla risoluzione dei problemi. La negazione del contatto, il ritiro, può essere un’ espressione passiva dell’emozione della vergogna, un modo per non assumersi la responsabilità di intraprendere un’azione per risolvere il problema, per non correre il rischio del rifiuto.

 L’ autonomia  è un presupposto per il raggiungimento di tale capacità.

Eric Berne, a questo proposito e a proposito dell’ A.T. nella pratica, suggerisce che l’ideale è l’autonomia (1964). L’autonomia equivale alla libertà dal copione e, secondo la definizione berniana, è una risposta alla realtà nel qui-e-ora, più che una risposta a convinzioni di copione.

“La vergogna presuppone l’essere visti ed essere coscienti che altre persone ci guardano: in una parola, essere imbarazzati. Si è visibili e non si è pronti a essere visibili”,  scriveva Erik H. Erikson, che faceva della vergogna (in contrapposizione all’autonomia) una delle otto tappe dell’uomo.

L’autonomia, in analisi transazionale, si conquista quando si liberano o si recuperano la consapevolezza, la spontaneità e l’ intimità.

Queste capacità sono strettamente legate al concetto gestaltico di responsabilità: non possiamo essere capaci di rispondere fino a che non siamo consapevoli del nostro ruolo nel sostenere gli automatismi che ci allontanano dal linguaggio segreto dell’intimità (Lee, R. G., 2013).

In quest’ottica, compito del terapeuta, può essere quello di dare nuove informazioni sulla base delle quali agire diversamente.

La guarigione, in termini analitico transazionale, comporta un movimento fuori dal copione, una differenziazione da questo. C’è bisogno di nuove informazioni, affinchè ci sia differenziazione, una differenziazione che presuppone, d’altro canto, un unione. L’unione con le antiche decisioni copionali, la comprensione di queste, può aiutare i pazienti a differenziarsi e prendere nuove decisioni, a mettere su un nuovo spettacolo (Berne, 1972), a togliersi la pelle di ranocchio e riprendere lo sviluppo interrotto di principe o principessa (Berne, 1966).

Quest’ultima metafora mi sembra in linea col discorso sulla vergogna e sulla nudità.

Si corre il rischio di provare vergogna, esprimendo in modo autentico e spontaneo i propri bisogni, le proprie emozioni, se si ha il coraggio di togliersi la pelle di ranocchio, se si corre il rischio di spogliarsi.

 

Bibliografia

Berne, E. (1964), Games people play, Grove Press, New York. Tr. It. A che gioco giochiamo, Bompiani Milano, 1984.

Berne, E. (1966), Principles of group treatment, Okford University Press, New York. Tr. It. Principi di terapia di gruppo, Astrolabio, Roma, 1986

Berne, E. (1970), Sex in human loving, Simon and Schuster, New York. Tr. It. Fare l’amore, Bompiani, Milano, 1986

Berne, E. (1972), What do you say after you say hello? , Grove Press, New York. Tr. It. Ciao!…E poi?, Bompiani, Milano, 1979

Erikson E. H. (1950), Enfance et Societè, Delachaux et Niestlè, Neuchatel e Paris, 1982. In J. M. Robine, Il rivelarsi del sè nel contatto. Studi di Psicoterapia della Gestalt. Franco Angeli, 2006

Lee R.G (1994), Couples’ Shame: The Unaddressed Issue, in G. Wheeler, S. Backman (a cura di) On Intimate Ground: A Gestalt Apprach to Working with Couples. Jossey-Bass, San Francisco, pp.262-290

Lee R. G. (2013), Il linguaggio segreto dell’intimità. Un modello gestaltico per liberare il potere nascosto nelle relazioni di coppia, M. Spagnuolo (a cura di). Franco Angeli  Editore

Robine, J. M. (1977), Plis et Deplis du Self. Tr. It.  Il rivelarsi del sè nel contatto. Studi di psicoterapia della Gestalt, 2006, Franco Angeli, Milano

Schiff, A. e Shiff, J (1971), Passivity, in TAJ

Stewart, I- Joines, V. (1987), L’Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani. Garzanti Editore

[1] Berne lo chiamava bisogno di stimoli (Ciao!..E poi?, 1972)

[2] Claude Steiner descrive l’economia delle carezze nell’articolo “The Stroke economy” (1971)

[3] Lo Stato dell’Io, in AT, è un insieme uniforme di emozioni ed esperienze  correlato a un corrispondente  schema  di comportamento.

Stato dell’Io Adulto: insieme di comportamenti, pensieri ed emozioni che sono una risposta diretta al qui-e-ora, non copiati dai genitori o figure genitoriali, né riproposti dall’infanzia della persona.

Stato dell’Io Bambino: insieme di comportamenti, pensieri ed emozioni che sono riproposti a partire dall’infanzia della persona

Stato dell’Io Genitore: insieme di comportamenti e di emozioni che sono stati copiati dai genitori o figure genitoriali

[4] L’emozione parassita è, in AT, un emozione familiare appresa e incoraggiata nell’infanzia, vissute in molte diverse situazioni di stress e inadatta quale mezzo adulto di risoluzione dei problemi

[5] Berne (1972) ha scoperto che ogni gioco attraversa una sequenza di sei fasi: GANCIO-ANELLO-RISPOSTA-SCAMBIO-INCROCIO-TORNACONTO (G-A-R-S-I-T)