La vita emotiva dell’adulto (2013)

la vita emotiva dell'adulto

La vita emotiva dell’adulto

Dal presupposto per cui la sofferenza, il mal-essere, può essere espressione di emozioni negate, di una responsività che, all’interno di antiche decisioni prese nella nostra infanzia (gli script copionali[1]), va oltre il qui ed ora, ho considerato l’importanza del riconoscimento consapevole, autonomo e responsabile, delle emozioni.

La giusta consapevolezza delle emozioni può aiutare il paziente o cliente a risolvere il sintomo, espressione di un conflitto interno che è tale a causa della non-accettazione,  della negazione dell’emotività, che sostiene l’ aspetto polare alienato.

Dal punto di vista terapeutico, generalmente, il lavoro con il conflitto è un lavoro con le polarità.

Ma perché l’alienazione di parti di sé?

In Analisi Transazionale, Berne parla dei vantaggi del copione di vita[2].

Il paziente, che vive l’aspetto polare del tratto con cui s’identifica, può sentirsi in preda al conflitto nel momento in cui emerge e questo perché, fino a quel momento, si è negato la possibilità di una conoscenza libera dai giochi copionali.

Se, durante i primi anni di formazione della psiche, una persona, nella sua specifica situazione psicologica, emotiva e relazionale, ha ottenuto molti vantaggi dall’essere brava, precisa, controllata e, d’altra parte, ha vissuto con disagio l’aspetto leggero, istintivo, flessibile, questa sentirà di essere OK solo quando emergerà il primo. Il primo le ha salvato l’esistenza, a differenza dell’aspetto leggero, istintivo e flessibile che  l’ha fatta sentire in una condizione di vulnerabilità. Questo è un esempio per indicare il processo di alienazione, allontanamento, rifiuto, negazione di quello che, emotivamente, è stato ed è vissuto come negativo.

Perls[3] parla di fissazione per definire tale rigidità caratteriale, automatismo che impedisce lo sviluppo della personalità. Il carattere è quello con cui decidiamo di identificarci, quello che conosciamo, che decidiamo di guardare.

La rigidità, la staticità del carattere, limita l’individuo nello sviluppo delle sue capacità e potenzialità, lasciando in ombra parti che sono serbatoi di energia inespressa. Il carattere fobico-evitante, trattato nell’Enneagramma[4], può essere un esempio. Qui, la paura, che è la passione dominante, paralizza col dubbio: aumenta il bisogno di certezze, ci si limita all’azione, non si guarda alle alternative, non ci sono vantaggi, ma solo rischi.

Fisiologicamente[5], si sono formate catene neuronali, depositi di memorie rafforzate dall’accumulo di risposte ad uno stesso stimolo, sempre uguali a se stesse, che diventano comportamenti stabili nel tempo. Tali comportamenti, appresi “quando ancora il bambino non è in grado di definire con le parole” (Jones, 1990), rinforzano e portano avanti il copione.  La rigidità di determinati scambi relazionali, nonostante siano apparentemente fonte di sofferenza, è conseguenza di tali decisioni infantili. La persona utilizza gran parte delle sue energie per rinforzare e portare avanti il suo copione, una forma di compromesso attivato per soddisfare la fame di stimolo, la fame di riconoscimento e la fame di struttura[6].

I vantaggi di tale compromesso determinano l’alienazione di parti di sé, insieme al substrato emozionale che lo sostiene; tanta energia serve per tenere a bada queste parti, altrettanto fonti di energia. Privarci di tali parti non ci consente di vivere a pieno la nostra soggettività.

L’esplorazione di un conflitto richiede, pertanto, la conoscenza dell’aspetto emozionale polare, messo da parte. La sua risoluzione dipende dalla capacità della persona di prestarvi attenzione in modo autentico, spontaneo; tirare fuori le emozioni, soprattutto quelle che più fanno paura, può essere terapeutico. Portare un paziente a consapevolezza dei rischi e delle paure che ci sono dietro la parte polare, la fa vivere, la fa esistere.

La consapevolezza genera l’integrazione e l’integrazione la risoluzione del conflitto e del sintomo con cui si manifesta.

Nella clinica, il lavoro sulle polarità può avvalersi della tecnica delle due sedie. Il suo utilizzo richiede, oltretutto, un contatto emotivo pieno con il vissuto emozionale del paziente.

Il riconoscimento spontaneo ed autonomo della polarità emotiva e l’integrazione delle emozioni negate, attraverso il recupero delle potenzialità non sfruttate, è funzionale alla scoperta di nuove modalità di risposta, è funzionale alla decisione di un nuovo piano di vita.

Come ci insegna la Gestalt, la polarità nascosta, che emerge dallo sfondo, è una spinta per nuove esperienze e nuova vitalità. Il sintomo è una forma creativa che contiene in sé la soluzione. Quando il sintomo ci parla, chiede di percorrere altre vie, alternative che, se lo si sa interrogare ed ascoltare, spingono ad esperienze di vita autentiche.

A questo proposito, A. Ferrara[7], ispirandosi anche ad autori specialisti in psicologia dello sviluppo, scrive  sull’ “Evoluzione dell’Adulto che matura”, sottolineando che il modo per educare un adulto ad interrogare e ad ascoltare il sintomo, è rimettere in gioco la sua organizzazione copionale, che contiene e porta avanti un modello esistenziale fissato nel tempo, con matrici organizzate sulla base di una visione infantile. L’età matura, anche in linea con il discorso sulle polarità, può coincidere con il momento in cui è necessario dare spazio allo sconosciuto che appartiene all’essere.

In età adulta, con la crescita e lo sviluppo, programmi rigidamente costituiti, se seguissero la loro naturale evoluzione, avrebbero meno necessità di continuare ad essere tali. Seguendo la natura, dovrebbero aumentare l’autonomia e la consapevolezza.

Erskine[8] parla,  riguardo, di adulto integrato, traducibile come la possibilità di esercitare una nuova strategia adatta al contesto e alla capacità evolutiva, alla comprensione ed elaborazione integrata del conflitto tra introietto e fissazione.

L’autore ritiene che c’è uno Stato dell’Io Adulto Integrante, che accoglie ciò che accade, momento per momento, sia all’interno sia all’esterno di sé, le esperienze passate e i loro effetti conseguenti, le identificazioni e le influenze psicologiche con altre persone significative della vita; e c’è uno Stato dell’Io Adulto che, a seguito di traumi relazionali, non riesce/non vuole integrare le esperienze e si difende, senza consapevolezza, dando luogo alla creazione di Stati dell’Io scissi, ovvero lo Stato dell’Io Bambino (fissazione) e lo Stato dell’Io Genitore (introietto).

In AT si parla di Stato dell’Io Adulto Positivo e Negativo.

Lo stato dell’Io Adulto Positivo si attiva quando la persona si comporta e sente in relazione a quanto effettivamente sta avvenendo nella realtà interna e principalmente nel qui ed ora. L’Adulto Positivo tiene conto degli aspetti etici ed emotivi della realtà interna ed esterna, per crescere e migliorare in armonia con l’ambiente circostante. L’Adulto Negativo agisce, quando la persona usa questo stato in maniera difensiva, si ferma solo all’analisi razionale e non tiene conto degli aspetti emotivi della realtà esterna e interna.

E’ difficile lasciare gli schemi profondi che guidano l’esistenza e le persone, indipendentemente dall’età, possono continuare a comportarsi, più o meno, alla stessa maniera, anche se non serve più, anche se diventate più mature, più adulte, anche se hanno avuto tante esperienze.

Mettere incertezze nelle strutture copionali in diverse fasi di vita, congruentemente con quanto lo sviluppo naturale prevede, produce cambiamento.

E, come scrive A. Ferrara (ibidem), in linea con il discorso sulle polarità conflittuali, in genere, in una fase matura dell’età adulta, dai 30/40-45 anni, chi è più attento alla conoscenza di se stesso, guarda ai significati più profondi della vita, tende a perdere la fissità nello schema e il copione incomincia a vacillare.

Il costante tentativo di restare aggrappati alla realtà esterna difende dalla difficoltà di sentire e dalla incapacità di riconoscere la propria vita affettiva e differenziarla da quella dell’altro, la stessa incapacità che vediamo nella confluenza, meccanismo di difesa attivato nella prima fase del ciclo di contatto.

La terapia della Gestalt approfondisce il concetto di resistenza a proposito del ciclo di contatto tra la persona e l’ambiente. Questo è in continuo divenire se non interrotto dall’utilizzo di meccanismi di difesa, attivati dalla persona che ha paura di vedersi in immagini che non condivide, dalla persona che non accetta incondizionatamente quello che è.

Il cambiamento avviene quando si diventa ciò che si è e non quando si cerca di diventare quello che non si è (Teoria paradossale del cambiamento, Beisser, 1970).

E, per essere consapevoli di quello che è, per prestarvi attenzione in modo responsabile, è necessario sospendere il giudizio. L’accettazione incondizionata prevede proprio questo: la sospensione del giudizio, l’assunzione di un atteggiamento di nuda attenzione, di osservazione senza giudizio dell’esperienza. Questo, a proposito dell’accettazione delle polarità conflittuali, qui relativa allo sviluppo emotivo dell’Adulto.

Tale accettazione può essere funzionale al ritorno al primitivo stato di vuoto, il vuoto fertile, in cui prende spazio l’indifferenza creativa che, d’altro canto, non lascia spazio alle suddette rigidità caratteriali.

Far sperimentare al paziente la parte di sé negata, l’aspetto polare di quello con cui s’identifica, genera una visione di sé completa e, pertanto, nuova. E, come sostiene Berne, quando una persona impara a viversi le cose a modo suo, incontrandole per come sono nel momento in cui le sta vivendo, libero dalla coazione dei giochi, libero di esprimere se stesso in modo franco e immediato, incorrotto, si recuperano la consapevolezza, la spontaneità e l’intimità; si raggiunge l’autonomia.

L’autonomia e l’intimità camminano di pari passo. E, “perché si abbia l’intimità bisogna soprattutto esperimentare e godere ciò che è qui adesso…Vivere nel presente vuol dire vedere gli alberi, sentire gli uccelli e sapere che il sole è sorto, per poter vedere la faccia della gente, sentire il suo spirito che canta e sapere che esiste il sole del calore umano. E’ così che si può conquistare l’intimità. Dobbiamo renderci conto del meraviglioso qui e adesso dello sconfinato universo che ci circonda, prima di entrare nelle nostre case e vivere nel limitato qui e adesso della reciproca intimità. Perché questo possa avvenire, dobbiamo innanzitutto avere una mente limpida, e dimenticare per sempre ogni forma di tediosa menzogna che ci sia ficcata in testa da libri falsi e persone false…..Fermatevi! E ricominciate ogni volta con la prima parola, che è Salve!”[9].

Quanto scrive Berne, a proposito dell’intimità, può essere il filo conduttore del discorso sulla vita emotiva dell’Adulto, che raggiunge il suo equilibrio quando il Bambino e l’Adulto imparano a tenere a bada il Genitore, quando si autonomizzano rispetto a questo. Quando All’amore per sé, l’amore egoico, tutto centrato sul ricevere, comincia a subentrare l’amore compassionevole, l’amore per il quale il centro diventa l’altro e l’Io va sullo sfondo (Berne, ibidem).

[1] Berne, E. (1964), A che gioco giochiamo? Milano, Bompiani

[2] Berne, E. (1964),  ibidem

[3] Perls, F. (1942), “Io, la fame, l’aggressività”. Milano, Franco Angeli. Psicoterapia della Gestalt

[4] Naranjo, C. (1996), Carattere e nevrosi. L’enneagramma dei tipi psicologici. Roma: Astrolabio Ubaldini Edizioni

[5] Ferrara, A. (2013),  La crisi della maturità e possibili evoluzioni. IAT News n. 6 pp. 18-21

[6] E. Berne (1964), ibidem

[7] Ferrara, A. (2013), ibidem

[8] Erskine R., Maursund, Trautmann R. L. (1999) , Aldilà dell’empatia: una teoria del contatto in relazione. Brummel Mazel.

[9] Berne, E. (1970), p. 216